"Consiglierebbe la carriera di scrittore?" mi chiese uno degli studenti.
"Stai cercando di dire amenità?" gli chiesi.
"No, no parlo seriamente. Consiglierebbe la carriera di scrittore?"
"È lo scrivere che sceglie te e non tu lo scrivere."

Charles Bukowski

venerdì 18 marzo 2011

La mia prima festa dell’Unità d’Italia



Caro Diario,
Ieri ho festeggiato per la prima volta la festa dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Questa festa prima d’ora non era mai esistita, e se chiedevi in giro del 17 marzo, era un giorno come un altro, come il 23 giugno o il 14 settembre. La novità di questa festa ha colto un po’ tutti alla sprovvista. Ho visto gente incamminarsi confusa per le strade. Con un dubbio segreto che albeggiava nei loro occhi: ma il 17 marzo che si fa? Già perché mentre si sa che ad esempio, il 25 dicembre si mangia con i tuoi, a capodanno con chi vuoi, il 25 aprile e primo maggio, la gita fuori porta o la manifestazione politica, pasquetta pic-nic e due novembre al cimitero; il primo 17 marzo della storia, è una festa priva di tradizioni. Per scoprire quindi, i riti nascosti di questa nuova ricorrenza, l'ho analizzata punto per punto. Mi sono alzato intorno alle 10,30 e mentre facevo colazione su rai uno si parlava di brigantaggio. Se non sbaglio c’era il prof. Villari - che conosco solo per il suo nome, fra gli autori di alcuni libri di storia - che ne ridimensionava la portata, aggiungendo enfasi al valore garibaldino, o almeno cosi mi è parso di capire. Verso le 12,30 sono uscito di casa. Fuori c’era una aria da festa di primavera. Qualcosa che assomiglia alla Festa di Liberazione, ma con più patriottismo. Ai balconi noto qui e là bandiere tricolori. Meno che ai mondiali. La giornata è soleggiata. Primaverile. Mentre sono in auto per andare a prendere la mia ragazza, alla radio, quello del 17 marzo, resta il tema dominante. C’è un’aria da ’15-’18. Si susseguono continuamente inni di mameli, va pensieri e canti risorgimentali. Io di solito sono un po’ allergico a queste manifestazioni d’orgoglio nazionale, da orgasmo italico intinto di fanfare belliche. Questa volta però ascoltando Verdi, mi è sembrato di scorgere in quei cori aulici, una lontana eco liberatoria, rivoluzionaria. Il discorso non si ferma alla constatazione che il patriottismo se serve a conquistare l’indipendenza è rivoluzionario, altrimenti diventa fascismo. Quei canti mi inducono a pensare che forse i momenti alti dell’orgoglio nazionale, del patriottismo italiano, andrebbero cercati nelle loro manifestazioni liberatorie. Il risorgimento non fu patria e onore, ma liberazione dallo straniero. Esattamente come 84 anni dopo con i nazifascisti. Il triste pendolo della nazione invece, dopo ogni rintocco di emancipazione, passa il testimone alla ragion di stato, al compromesso imprescindibile, al potere immobile ed eterno della patria provinciale. La rivoluzione garibaldina fermata a Teano, quella partigiana dalla DC e dal Vaticano. Ma dopotutto è anche questa la nostra patria. Intorno alle 13,30 ho pranzato da mia zia. Ecco, mi sono detto, quale luogo più indicato della tavola per sancire una tradizione; se il tacchino benedice la festa del ringraziamento e l’agnello si immola per la Santa Pasqua, ebbene anche da questo 17 marzo uscirà il simbolo dell’Italia. Ho mangiato coniglio con le patate, e mentre addentavo la carne, ho pensato che quel piatto poteva realmente assurgere a simbolo italico. L’accostamento poi alle kartoffeln, era un’ulteriore provocazione. Il pomeriggio del 17 marzo sono rimasto a casa a riposare. Ho pensato però che non bastava: - Questa strana giornata ha bisogno di un rituale, non può fuggirsene via senza segni - L’idea è nata quasi naturalmente: incontrarsi tutti al Bar Italia, per un brindisi a Vittorio Emanuele. Credo che ci siano Bar Italia praticamente ovunque, quindi quale miglior rituale per questa giornata irrituale. La cosa ha funzionato, il passaparola ha avuto successo, intorno alle 20,30 eravamo una decina. Per essere stata organizzata appena un’ora prima, è stato un trionfo. Mi piace pensare che anche se questa festa verrà riconfermata solo fra 50 anni, o fra 100 anni, o fra 150 anni, ogni anno, nel nostro piccolo, magari dopo aver staccato dal lavoro, o aver finito di studiare, in onore di questi 150 anni dell’Italia, della liberazione, o di qualsiasi cosa tutto ciò voglia dire, ci si possa trovare a sorseggiare una birra nei propri Bar Italia, alzare i bicchieri al cielo e gridare: – A Vittorio Emanuele! – che non vuol dir niente, ma un niente che è pari ad ogni rievocazione patriottica, che continuerò a non capire.
P.S.
A fine serata, dopo aver riaccompagnato la mia ragazza a casa, alla radio notturna, hanno messo il pezzo di un artista cubano: Bola de Nieve, dal titolo: Que diras de mi. Non so perché ma ho pensato che quella canzone potesse degnamente chiudere la mia prima festa del 17 marzo.



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