"Consiglierebbe la carriera di scrittore?" mi chiese uno degli studenti.
"Stai cercando di dire amenità?" gli chiesi.
"No, no parlo seriamente. Consiglierebbe la carriera di scrittore?"
"È lo scrivere che sceglie te e non tu lo scrivere."

Charles Bukowski

martedì 31 maggio 2011

Idiosincrasie di un amore ambulatorio



Sognava da tempo una ragazza tutta per lui: simpatica, estroversa, amante della buona cucina, esperta di sport, politica, cultura, appassionata di sci nautico e di auto sportive. Poi conobbe Marisa, una timida ventenne ossessionata dalle diete e da orientalismi di qualsiasi genere.
Fu un venerdì pomeriggio d'estate. Lei alla guida della sua panda quattro per quattro, lui a piedi, in cerca di una ricarica telefonica. Il caso volle che la passione di lei per il trucco in auto, incise profondamente sulla possibilità dei freni di entrare in funzione, nonostante Domenico fosse sulle strisce pedonali.
Fu amore a seconda vista: quando si ritrovarono in ospedale. Lei con un nitido aroma di sandalo, lui con un dopobarba inacidito. Il medico aveva certificato una prognosi di cinque giorni. Tutto sommato sopportabili, se non fosse per l’aroma di caffè solubile del corpo medico e paramedico dell’ospedale. Il secondo giorno era già asfissiato, doveva assolutamente scappare da quel lurido ospedale.
Lei lo andò a ritrovare, più che altro sperando di evitare la denuncia, i soldi dell’assicurazione, i punti sulla patente e le ramanzine del suo avvocato/benzinaio di fiducia. Provò con l’unica arma a disposizione delle donne. No, non parlo dei parcheggi, ma di una molto più sublime: la seduzione.
Domenico si mostrò perplesso, quando la vide arrivare in sala degenze, alle dieci di mattina con tacco a spillo dodici, calze a rete, minigonna ombelicale, tanga, corpetto rosso e quel preservativo masticato in bocca. A dirla tutta ancora oggi, dopo sessant'anni di matrimonio, ogni tanto la vede con un strano sguardo indagatore, cercando di capire se tutta quella storia, non fosse un trucco per evitare la denuncia. Ed a volerla dire tutta, non è che lei facesse granché per smentire i suoi dubbi, come ad esempio quella storia delle cimici nell’auto di lui. Un mese con l’antizecche non è  il massimo.
Tuttavia Domenico doveva scappare da quel profluvio di aromaterapie andate a male. Afferrò Marisa per il braccio, avvicinò la sua bocca all’orecchio di lei, e dopo averle leccato via tutto il cerume le sussurrò implorante:
- Portami via di qui, dovunque tu voglia, ma portami via, il lezzo di quest’ospedale è insopportabile.
Lei lo prese di parola e nascosto nell’unica fessura in grado di contenerlo, fuggirono via. Non sapevano esattamente dove andare, così finirono nei pressi di una raffineria. La puzza era insopportabile anche lì, ma sempre meglio del caffè solubile.
- Devi abituarti gradualmente agli odori sani – le disse lei – lo dicevano proprio l’altro giorno a Salute e Società.
Una vita insieme, fra alti e bassi, non è facile se abiti in un appartamentino di due metri di altezza. Specie per gli alti. Erano pronti a festeggiare le nozze d’oro massiccio: i loro sessant’anni di matrimonio.
Avevano prenotato una sala d’aspetto. Una strana abitudine che portavano avanti dal loro primo mese di fidanzamento, a ricordare che senza un ospedale maleodorante, la loro felicità non avrebbe mai avuto luogo.
Come bomboniere un set di smalto, un monito per tutti, che senza la passione di lei per il trucco in auto, nessuno sarebbe lì a festeggiare.
Dopo il quarto secondo, uscirono per le foto di rito. Rito celitco. Si posizionarono nei pressi di un crepaccio romantico.
Tra i due c'era un abisso. Ma sfortunatamente era lei quella con problemi d'equilibrio

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lunedì 16 maggio 2011

Un austroungarico alla corte di Re Diesis


Linda, Linda capelli biondi. Nessuno usava diminuitivi, nessuna la chiamava solo per nome. Era per tutti: Linda capelli biondi, per alcuni Lindacapellibiondi. Era mora, ed aveva la pelle color cappuccino. Al bar del centro serviva brioche e cornetti alla crema, crema e marmellata, cioccolata e vuoti. Punto. Il resto non era di sua competenza. Un giorno non avevo fame, presi un espressino e mentre lo sorseggiavo, la vedevo intrufolare la sua testa insieme al suo corpo abbondante, nella vetrina dei cornetti. Non avevo fame, mi avvicinai a lei e glie lo chiesi. Spudorato e violento – Voglio i tuoi capelli biondi – nel bar si fece largo un silenzio mortale. La macchina dei caffè placò i suoi sbuffi, le tazzine si posarono all’unisono, i menti si voltarono istantanei. Anche la radio era rimasta senza parole. Il ticchettio delle lancette invece continuava, noncurante di nulla, tempo cinico e maleducato. Ci pensò Willy a farlo tacere, per sempre. Gli svuotò contro un intero caricatore. Il tempo non si può fermare, ma si può benissimo ammazzarlo. Willy aveva 80 anni. Ed era il giovane amante segreto di Lindacapellibiondi. Il suo compagno ufficiale, Michele Ballabbò, ufficiale dell’esercito austroungarico in pensione, ne aveva 130 di anni. Ora passava il tempo dando da mangiare alle papere nel parco. Si posizionava con il suo banchetto la mattina presto ed iniziava a cucinare prelibatezze per paperi. Agli umani faceva schifo, ma per i paperi era un banchetto coi fiocchi. Lì in quel bar, l’aria iniziava a fasi tesa. Lindacapellibiondi mi guardava con un misto d’odio e di costernazione. Nessuno osava dire o fare niente. Eravamo entrati in un errore di sistema insolvibile. Un cortocircuito da cui nessuno sarebbe stato in grado di farci uscire. Rimanemmo così per ore: trentaquattro per la precisione. Poi, il fortuito intervento di un pastore genovese, ci liberò dall’incantesimo. Entrò e ordinò un amaro alle erbe. Noi al paese detestiamo gli amari alle erbe, e ancor di più, detestiamo chi ordina amari alle erbe, e molto ancora di più, i pastori genovesi che ordinano amari alle erbe. Il silenzio fu rotto da una violenta lapidazione del pastore. Io ne uscì sconsolato e stanco. Lindacapellibiondi mi seguì con lo sguardo, infilò due cornetti cremaeamarena nelle bocche dei suoi due compagni e poi corse a prendermi. Appoggiò la mano sulla mia spalla e mi girò violentemente. Io caddi per terra, frastornato. Lei, con le sue mani callose e forzute, mi prese per l’orlo della giacca, mi sollevò, agguantò i suoi capelli biondi dalla tasca e me li infilò nelle mutande. Poi aggiunse – questi sono i capelli biondi, fottuto bastardo – poi quasi piangendo – ti amo! – e mi infilò un bacio in gola, strappandomi il ponte che mi era costato un occhio della testa. Lei noncurante di tutto mi tolse la benda che copriva l’occhio mancante. Poi eccitato le dissi – ma cosa dirà Willy? Cosa dirà Michele? Io ho paura degli austroungarici – mi strinse fra le sue tette giganti - decima misura - e mi soffocò. – L’amore dev’essere totale, infinito e istantaneo, piccolo Fill – è così che mi chiamo, Fill, senza ph. Mi sotterrò fuori città sotto una targa di birre ed una bacheca di gelati. Mi ha lasciato una settimana enigmistica per passare il tempo. Spero che basti per l’eternità.
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