"Consiglierebbe la carriera di scrittore?" mi chiese uno degli studenti.
"Stai cercando di dire amenità?" gli chiesi.
"No, no parlo seriamente. Consiglierebbe la carriera di scrittore?"
"È lo scrivere che sceglie te e non tu lo scrivere."

Charles Bukowski

giovedì 24 marzo 2011

Control/Alt/Canc



Doppio. Carta. Soldi. Pasta. Regalo. La parola di questa sera era Pacco. Mia madre, come se fosse lei presente sullo sgabello esulta – L’avevo indovinata! – Guardo distratto la pancetta a dadini nel piatto. Inforchetto quattro penne, le porto all’altezza degli occhi, restando immobilizzato ad osservarle, poi mando tutto giù. Prendo il telecomando e cambio al terzo canale – Perché hai girato? – il cambio d’immagine la risveglia da un interesse passivo – C’è Blob ma’ – come se fosse un copione provato e riprovato cento volte, prorompe con la sua battuta – Ma almeno fammi sentire i titoli del telegiornale – lo sa che non ha senso, lo sa che è il Tg1. Sarà un rimorso di coscienza sul dovere d’informarsi. Probabilmente ha ormai rinunciato al diritto d’informarsi. Il numeroso esercito a cui appartiene, è un alieno di internet e della stampa. Generazione cresciuta ed educata televisivamente. Da ormai 3 mesi, ho iniziato la pratica presso uno studio pubblicitario. Per ora faccio solo fotocopie, ma spero di far una buona impressione. Per ora ovviamente è tutto gratis. Poi fra un’annetto se tutto va bene, chissà. Lo studio è a 60 chilometri da casa. Ovviamente non mi pagano neanche le spese di viaggio. Mia madre mi guarda coi suoi occhi, in un misto fra disperazione, delusione e rassegnazione. Lei è di un’altra epoca. In cui il lavoro era il lavoro, a 25 anni si era già genitori, la televisione parlava sottovoce e diceva sempre la verità, il precariato era qualcosa che aveva a che fare con la carie e la flessibilità una proprietà dei metalli. Oggi le cose sono un po’ cambiate, ma lei non se n’è accorta, anche perché nel frattempo pure la televisione ha smesso di dire la verità, ed il mondo le dice, inequivocabile, che tutto è brillantemente immutabile e festoso. Un sogno che lei ha abbandonato molti anni fa, per i suoi figli – Ma’, ma che vuoi? Non lo capisci che oggi funziona cosi? È già tanto che ti danno ‘ste opportunità – Lei inizia cosi il suo rosario di paragoni impossibili. La capisco, se il mondo è quel gioco televisivo, deve essere davvero dura avere uno stronzo di figlio come me, che a quasi 30 anni, è ancora lì a elemosinare vitto e alloggio – Tuo cugino allora? E quello del primo piano? E la sorella di Giacomo? E il nipote del postino? – La lista è lunga. Una lista che conosce solo lei, molto accuratamente. Sembra quasi che sia andata voracemente alla ricerca dei campioni migliori. Resto per un attimo interdetto. Tutti quei casi di fortunati esempi modello, spiattellati lì uno dopo l’altro, mi mettono in difficoltà. Eppure le statistiche parlano chiaro, ma si sa i giornali… eppure tutti i miei amici, quelli che conosco, stanno nella mia stessa situazione. È chiaro che lei ha selezionato accuratamente chi vuol vedere lei. Maledetta invidia piccolo borghese. Maledetta Italia delle province, degli spaghetti col sugo e dei quiz televisivi – Ma’ tu vedi chi ti fa comodo a te, ma non lo capisci che grazie ai governi che avete votato in questi anni, c’avete tolto il futuro? Cosa cerchi? Quelli che dici tu sono casi sporadici, ormai al giorno d’oggi la normalità è questa. Lavorare gratis – Torno ad addentare nervoso l’ultimo boccone. Mentre mia madre inizia il suo intervento fiume. Ormai non la distinguo più dal caos del talk show rebloggato da Blob. Mi sembra quasi di sentirla lì in mezzo, fra La Russa e Di Pietro, ad insultarsi ed a gridare sempre più: – Dovevi prendere medicina, farmacia, non quella laura del cazzo che ti sei preso! Dovevi fare economia e comme… – Ma’, con economia e commercio non fai lo stesso un cazzo – Si, si tutte scuse, vai a fare il cameriere allora… – abbasso il volume. Mi immergo nel piatto vuoto. Avrei sempre voluto sapere come si leggono i fondi di caffè. Magari ora potevo leggere il fondo di quel piatto di pasta al sugo. Capire che ne sarà di me, di mia madre, di tutto. Mentre affogo con i pensieri, scorgo la mia figura opaca e deformata fra i denti della forchetta. Mi osservo come in un film. Un film irrappresentabile. Migliaia e migliaia di mamme, in migliaia di case d’Italia, mentre guardano migliaia di quiz televisivi e migliaia di telegiornali, migliaia di figli semitrentenni, impegnati in migliaia di prestazioni di lavoro occasionali, o in migliaia di lavori a progetto, o in migliaia di stage, o in migliaia di tirocini, mentre migliaia di televisori assicurano sullo stato dell’economia, le migliaia di mamme rinfacciano, poche centinaia di errori percentuali che ce l’hanno fatta. Un esercito di fallimenti. Una patria di blocchi irreversibili. Mia madre nota la mia assenza – Ma insomma mi ascolti quando parlo? – alzo lo sguardo dal piatto, osservo i suoi capelli ancora candidi, quel volto che inconsciamente cerco in ogni donna, la pelle ornata di dolci rughe, il suo sguardo cosi simile al mio. Le sorrido – Arresta il sistema.
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