"Consiglierebbe la carriera di scrittore?" mi chiese uno degli studenti.
"Stai cercando di dire amenità?" gli chiesi.
"No, no parlo seriamente. Consiglierebbe la carriera di scrittore?"
"È lo scrivere che sceglie te e non tu lo scrivere."

Charles Bukowski

venerdì 27 aprile 2012

Resistenza Toponomastica




«In un impeto di ribellione per tanta imbecillità in quei giorni anche il busto di Lenin cominciò a lacrimare»
Offlaga Disco Pax - Piccola Pietroburgo

La pipa di Pertini sbuffa furiosa, mentre cammina nel vialetto della sua trincea. Il suo passo nervoso e veloce, a dispetto della sua statura, lo rendono al tempo stesso simpatico e autorevole, un vecchio partigiano severo e incredibilmente dolce. Il miglior presidente, disse qualcuno, sicuramente il più romantico. Sandro ricorda i tempi lontani della sua gioventù ardimentosa. La fuga in Francia, il ritorno, la condanna. Ha ancora gli occhi lucidi al pensiero di quel suo grido nel tribunale fascista che lo condannava «Abbasso il fascismo! Viva il socialismo!». I tormenti della madre, che ne chiese la grazia e il suo commovente strazio, di fronte a quella sofferenza universale. Il ricordo tenero dell’abbraccio materno lo porta verso gli ultimi passi della sua trincea, piccolissima trincea di paese, per un grande piccolo uomo, come lui. Di fronte, scorge una figura di spalle, china su un piano mentre esegue un notturno. Pertini gli s’avvicina silenzioso, rimane muto, assaporando quello note dolci accarezzare il fumo della sua Pipa. Terminato di suonare, i due sguardi si incrociano, e Sandro con la sua voce calda e commossa chiede «Immagino che lei sia Chopin, il compositore». L’altro lo guarda sorridente e aggiunge «Sì in persona, lei dev’essere Pertini. Non l’ho mai conosciuta dal vivo, ma mi hanno parlato molto di lei». Pertini accomodandosi al suo fianco ribatte incuriosito «davvero?» - «Certo» prosegue l’altro «mi hanno detto che lei è un romantico moderno, di un secolo nuovo che noi non abbiamo conosciuto. Certo poi è strano che l’abbiano messa qui, insieme a tanti musicisti, non lo trova un po’ bizzarro? Non si sente fuori posto?». Sandro guarda verso l’orizzonte. Girandosi d’un lato, scorge fra gli alberi un altro sognatore, anch’egli con lo sguardo all’orizzonte: Colombo, navigatore e scopritore, a circoscrivere un quartiere dedicato a dei sognatori musicali. «Al contrario, le dirò, non potevano che farmi regalo migliore, per la mia eternità che lasciarmi qui, nella pace della musica, dei compositori, della più leggiadra delle arti. Che soave riposo mi sarebbe concesso. Ma neanche qui m’è risparmiata la sofferenza, neanche qui la pace, tantomeno ora, posso dirmi libero dai tormenti e tribolazioni della mia vita, donata alla libertà». Chopin lo osserva preoccupato e sussurra «sarà mica colpa di quello lì? L’altro nuovo? Quel gran parco che hanno piazzato oltre la sua trincea?» Pertini ricambia con due occhi di fuoco, spiegando tutto con quelli, aggiungendo, dalla sua bocca solo una parola «Certo!». Chopin, sapendo di non poter nulla, contro quella tragedia fuori dal suo tempo, torna con un leggero inchino della testa al piano, potendo regalare solo quella pace. Pertini si girà e continua il suo andare, questa volta verso la direzione opposta. Si ritrova ancora più agguerrito di prima. Tremendamente infuriato. Un fuoco che si sparge per una via, la sua, piuttosto piccola. Come dimenticare allora il volto del caro compagno Antonio, per poco tempo compagno anche di prigionia, in quella vicina Turi. La lotta partigiana, su per i monti, l’odio insopprimibile per le carogne fasciste, disprezzatori della libertà, vili, codardi, venduti allo straniero. Dover salvare la patria, il popolo italiano, da quella feccia. Poi il meraviglioso 25 Aprile, la liberazione, l’urlo nella radio a Milano, urlo di gioia e ribellione «Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire». I suoi ricordi pieni di ardore finiscono fra altrettante note furiose. Sandro le riconosce subito. “La Cavalcata delle Valchirie”. Wagner anch’egli di spalle dirige la sua orchestra sprigionando tutte le forze, i tormenti, le angosce e il dramma di un’esistenza. Pertini non vuole fermarlo, interromperlo, né interrogarlo. Rimane in silenzio nella sua trincea ad ascoltarlo. Dall’altra parte della trincea, ancora il nemico, ancora e sempre uguale a quel che combattemmo sui nostri monti in Spagna. Uguale è la canzone che abbiamo da cantare: Scarpe rotte eppur bisogna andare!
Qualche strano e discutibile amministratore pubblico aveva deciso di sotterrarlo lì Pertini. Come fosse una salma inutile, o ancor peggio utile. Utile per poter accontentare e placare quanti nutrirono il disprezzo per un parco, un gran bel parco, dedicato a quella canaglia di Almirante. Per un utile scambio bipartisan, in una zona piena zeppa di musicisti, barricato dietro quel parco, c’è lui: il grande partigiano Pertini! Che disgustato rimane in trincea a combattere il nemico fascista di sempre. 
Almirante: firmatario ed estremo difensore del Manifesto della Razza, arruolato tra le fila della Repubblica fascista di Salò. Nel 1944 firmò un manifesto in cui si decretava la fucilazione dei partigiani “sbandati”. Fondatore e segretario del partito neofascista MSI nel dopoguerra. Lo stesso Almirante accusato di apologia del fascismo nel ’47. Rappresentante di quel movimento che per tutta la sua esistenza è stato contiguo con gli ambienti dell’eversione nera e della P2, nei dichiarati intenti di attacco agli organi costituzionali dello Stato, e dalle cui sezioni sono usciti gli assassini di Benedetto Petrone.
Compagno partigiano Pertini. Resisti! Dietro le trincee della tua piccola via. La lotta contro il fascismo non è ancora finita. Questa battaglia tutta toponomastica, ti vede degno rappresentante della Repubblica, della libertà, e della democrazia. Forza Sandro!

 « Non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà » (Sandro Pertini) 

 - Nella seconda metà degli anni '90 l'amministrazione comunale di Putignano (Ba), guidata dal Maggiore dell'Areonautica Marco Galuzzi (centrodestra) sotto la spinta dei residenti della zona di "Putignano 2000" decide di creare un parco. Incurante delle scelte dei residenti, il sindaco sceglie, dato lo sdoganamento a destra dell'era Berlusconi, di affibiare a quel parco il nome di Giorgio Almirante. La scelta appare piuttosto sgradevole per i cittadini del quartiere, specie se si tiene conto che tutte le vie di quella zona sono dedicate a musicisti famosi. Per far "ingoiare la pillola" allora, decreta al contempo di dedicare una piccola via adiacente al presidente della repubblica e partigiano Sandro Pertini -

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martedì 17 aprile 2012

Doppia mandata


Linda tornò a casa un po' prima del solito. Mentre saliva le scale, pensava alla giornata di lavoro passata. A quel senso di vuoto che le copriva il respiro, arrivava in gola e induriva le caviglie. Si sentiva in corsa su un tapis roulant, o come quando sognava di correre, di scappare da qualcosa e si ritrovava pesante, le gambe incastrate come in sabbie mobili. Sentiva dentro l'energia ma rimaneva bloccata. Come quei cartoni animati, dove prima di sfrecciare, i personaggi rimangono fermi a ingolfare i passi senza avanzare d'un millimetro. Era quello il senso d'asfissia che sentiva dopo il lavoro, aveva sogni e poteva costruire grattacieli e ne costruiva di bellissimi nella sua testa, che se solo da fuori potessero appena scrutarli; Dio che monumenti che erano! Ma poi rimaneva ferma, incredibilmente atterrita dal primo mattone, dal foglio bianco, dalla tela immacolata, dalla nota non emessa. Perché, come può quel capolavoro rischiare di cadere e sporcarsi, di inciampare, di finire in un vicolo cieco, di smarrirsi nella banalità, solo per un passo falso, che ha l'audacia d'essere primo? Come potrebbe quella perfezione cadere nel gesto d'inizio, correre sui binari, scivolare sulle curve sinuose e minacciose, cascare dalle alture giù verso la pianura, e attraversare assalti, ruscelli e gole profonde, se è già immacolato nella sua assoluta bellezza e perfezione mai avviata per davvero? Linda ingoiava saliva amara nell'ascensore che la portava su al piano. Ne uscì quasi atterrita, mentre cercava le chiavi in borsa. Ad un tratto qualcosa colpì i suoi pensieri sotterranei, udì dei rumori dall'altra parte della porta. Erano le cinque del pomeriggio, ed a quell'ora Fabio doveva essere a lavoro, ne era certa, le aveva detto che era un periodo in cui era incasinato fino al collo. Erano usciti insieme al mattino. Chi poteva essere? Un'orrenda ipotesi si materializza nella sua testa: ladri! Sapevano delle loro abitudini, li avevano spiati probabilmente, e avranno deciso che quello sarebbe stato il giorno perfetto per ripulirli. Era lì ferma davanti al portone di casa, guardava la punta della chiave a doppia mandata, con il piede destro leggermente impuntato verso dietro e il corpo slanciato in avanti, immobile, in quella posa istantanea che la assomigliava ad una statua atletica. Quei maledetti ladri, dovevano scegliere proprio quel giorno che era tornata prima del solito per derubarla, scegliendo per altro un ora comunque tarda per la loro sicurezza. Avrebbero potuto farlo una o due ore prima, allora sarebbero stati certi che nessuno sarebbe potuto giungere tanto presto da lavoro. Cosa fare? L'unica soluzione poteva essere scappare via, attendere la fine del loro lavoro e tornare speranzosa. No, no, che idea stupida, e poi come avrebbe potuto accorgersi del via libera? No, a quel punto tanto valeva allertare i vicini, magari potevano telefonare alla polizia...sì e per dire cosa?  - Sa, ho sentito dei rumori provenire da casa mia -  In effetti, tutto questo poteva solo essere frutto della sua suggestione - per un rumorino ho già dato la casa al fuoco - pensò, e si fece più quieta il piede destro si riposizionò tranquillo affianco al sinistro, la schiena si riequilibrò in posizione eretta. Più serena, allungò la mano destra e la chiave impugnata, verso la serratura, quando un nuovo sospetto le balenò per la mente, questa volta molto più veloce del primo. Fabio, poteva essere lui lì dentro, oltre la porta,  certo molto più probabile dei ladri, a differenza dei quali, le chiavi le aveva. Eppure le sembrava strano alquanto, questo rientro prematuro, senza che ne fosse informata, di solito quando finisce prima avvisa. E poi non era il suo periodo incasinato? La cosa non si spiega e come in una visione, immagina quella porta che si apre al girare della chiave. Il rumore, lo stesso di prima, dei passi scalzi di Fabio in cucina, ancora ignaro dell'arrivo Linda, che lo vede di spalle nudo. Per un attimo si immagina ferma, sbalordita di fronte alle sue spalle incoscienti, mentre silenziosa continua l'ispezione della casa, in cerca dell'orrendo dubbio. Fabio grida qualcosa, che non sembra diretto a lei, ma a qualcun'altro, dunque. Corre adesso, Linda, indifferente alla reazione di Fabio verso la camera da letto, e sulla sua metà, nella culla delle sue stanchezze, trova distesa, nuda ed appena appagata, una donna. Una donna che non è lei, ovviamente, e che le impedirà d'ora in poi di poter solo appoggiarsi su quel giaciglio, senza sentirsi irrimediabilmente sporca. Linda, chiude gli occhi, li strizza bene, fa un respiro forte, deglutisce ciò che può, infila la chiave nella serratura, e con la lentezza dura e infinita delle sue paure, apre lo scrigno, spezzando ogni sua angoscia. Ora con la porta spalancata di fronte a sé, è sfinita per chiunque, ha già combattuto la sua guerra, e da caduta è lapide di fronte casa sua, quasi dentro. Vinta per i ladri, vinta per Fabio e la sua donna. Resuscita un passo e affaccia il volto stanco e straziato.Una suono cupo proviene dalla cucina, ancora. Questa volta più nitido, più chiaro. Una finestra sospirata dal vento. Nel vuoto. Nel silenzio.

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