"Consiglierebbe la carriera di scrittore?" mi chiese uno degli studenti.
"Stai cercando di dire amenità?" gli chiesi.
"No, no parlo seriamente. Consiglierebbe la carriera di scrittore?"
"È lo scrivere che sceglie te e non tu lo scrivere."

Charles Bukowski

sabato 26 febbraio 2011

La banda di Tango


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Ore 8.03 – Bar del Corso. Cinque chilometri dall'obbiettivo.

Tango porta alla bocca un espresso macchiato. Taschino lascia decantare il suo whiskey con ghiaccio. Kodak invece addenta vorace un panino mortadella e provolone. La mattina non ha lo stesso alito per tutti. Specie per mattine come quelle. Lo si capiva da quelle piccolezze chi era il capo lì in mezzo, chi il pazzo e chi il fesso.
Tango pagò il conto, diede un occhiata all’orologio e aggiunse - si parte.

Una Ford Fiesta nera si dirigeva anonima verso Villa Fronzi, alla periferia della città. Il piano era stato studiato nei minimi particolari. La tensione in auto si tagliava col coltello.

Kodak era alla guida. Giacca di pelle nera e jeans su mocassini color mogano. Non amava molto i cappelli, preferiva esibire fiero la sua calvizia avanzata. Il suo soprannome se lo portava dietro dall’adolescenza, quando fece il suo primo e unico giorno di prova come assistente ad uno studio fotografico. Da quel giorno si porta dietro anche uno sfregio sul volto derivante dall’acido cloridrico che versò sul pavimento.

Tango era seduto d’avanti. Il suo stile era sempre impeccabile: pantaloni e giacca neri aderenti, camicia bianca e sottile cravatta rossa. A coprire il tutto un’impermeabile grigio, cappello alla Humphrey Bogart, vistosi occhiali da sole e scarpe nere rigorosamente lucide. Per scacciare via la tensione fumava una sigaretta dopo l’altra. Tango lo chiamavano cosi per via del suo amore per le balere e non solo per quelle. Aveva progettato tutto alla minima perfezione e nonostante non andasse fierissimo dei suoi compari sapeva che grazie alla sua guida tutto sarebbe filato liscio.

Taschino era stravaccato dietro. Era l’elemento del gruppo che più faceva tremare i polsi a Tango. Un pazzo sconsiderato capace di mettere su una strage per un nonnulla. Il suo scaccia stress era l’alcol. Trangugiava Whiskey dalla sua boccetta che estraeva di continuo dal taschino. Era questa l’origine del suo nome d’arte. Se chiedevi in giro di Taschino, tutti conoscevano la storia della vecchietta baciata. Era una semplicissima rapina in una banca di periferia. La situazione era delle più regolari, Taschino viene messo a fare il palo fuori proprio per evitare che combini casini nella banca. L’ordine era di non far entrare nessuno durante il prelievo. Ad un certo punto una vecchietta si para dinanzi a lui intenta a voler entrare. Taschino le consiglia di smammare che non è aria, ma la vecchietta non ne vuole sapere, Taschino le prova tutte ma la vecchia non si smolla. A un certo punto la afferra per le chiappe e gli infila un bacio in bocca come non gli riusciva neanche con le puttane di Via Garibaldi. La vecchia si stacca da lui e gli tira un calcio in mezzo alle palle. Taschino accusa il colpo, resta per un po’ piegato e subito dopo sferra un destro alla vecchia che si schianta per terra. Boom. La sfiga di Taschino quel giorno lo metteva alla prova. Proprio in quel momento passa di lì una pattuglia e vede tutta la scena. Scendono dalla macchina due sbirri e iniziano a correre verso Taschino. Lui appena li vede alza le mani in aria e cerca di farfugliare qualcosa tipo – c’è un equivoco agente. Appena sono a tiro, esce la pistola dai pantaloni e la punta in testa al primo dei due. Afferra la pistola d’ordinanza dalla fondina e se la infila in tasca, stringe lo sbirro per il collo e rivolto all’altro gli intima di gettare le armi e mettersi di faccia a terra se non vuole dire addio al suo amichetto. Li ammanetta entrambi uno contro l’altro, poi prende l’auto della polizia e parte come un pazzo.
Quando i compari ebbero finito cercarono quel pazzo di Taschino ma trovarono solo due sbirri imbranati legati l’un l’altro e una vecchietta tramortita al suolo. Cose normali quando ti porti dietro uno come Taschino. Per la cronaca l’auto della polizia la trovarono ribaltata in un campo. Dentro c'era anche una confezione di preservativi. Quello sciroccato di Taschino non contento del rifiuto della vecchia aveva pensato bene di rifarsi con una puttana nella macchina degli sbirri.

continua...
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martedì 15 febbraio 2011

L'impermeabile del dott. Franker



L'odore del caffè bruciato che si versava sul piano cottura, risvegliò il dott. Franker dai suoi pensieri lontani e assonnati. Mentre la cenere della sua sigaretta, immobile fra le labbra, si spargeva ovunque fra il maglione e la tazzina di caffè amaro. Mandò giù tutto d’un sorso, carbone fuso che scendeva fra le viscere. Poggiò la tazzina nel lavandino, indossò un’impermeabile grigio sopra il pigiama di flanella blu e a delle vecchie De Fonseca consumate. Prese le chiavi dalla scrivania ed uscì spedito dal suo studio.
Erano ormai mesi che il dott. Franker non aveva un caso fra le mani. Il portafoglio piangeva, cosi per arrotondare scriveva articoli di cronaca nera per il Caso Oscuro, un quotidiano dedicato agli appassionati di accendini Zippo. Giunto nell’ufficio del direttore del giornale il dott. Franker provò a mettere le cose in chiaro: “Niente casi di suore sfigurate e di clown piromani”, altrimenti avrebbe lasciato per sempre la collaborazione col giornale. Il direttore Jack Marcielli lo tranquillizzo: “Franker non scassare la minchia. Stai con le pezze al culo, ti presenti qui in pigiama, sei l’ultima delle merde di questa fottuta città e pretendi pure di dettare legge. L’ultimo tuo articolo era scritto col culo. Poco c’è mancato che i parenti delle vittime ci denunciassero per…” Il dott. Francker lo interruppe immediatamente sporgendosi verso di lui “Jack esiste un cartello degli elettricisti, esiste una mafia degli elettricisti in questa città e tu lo sai benissimo. Watt non è stato ammazzato da quell’idraulico, i conti non tornano, Watt è stato ucciso per un regolamento dei conti interno”. Esausto di quella storia Jack Marcielli si alzò di scatto dalla sua sedia, svuotò il tabacco ardente della sua pipa sulla mano del dott. Franker premendola con foga “Frank, testa di cazzo, delle tue stramaledette idee non glie ne freca uno stramaledettisimo pelo di fica di foca monaca a nessuno! Se la polizia dice che ad uccidere quel figlio di un cane di Watt è stato l’idraulico Biddett, tu devi scrivere che quel cazzo di Biddett ha infilato un maledettissimo phon su per il culo di Watt mentre era in piscina vabbene?! Tu e le tue idee del diavolo da investigatore da strapazzo che non vede il becco di un caso da almeno 5 mesi te li tieni per te. Questa è l’ultima volta che parlo, poi ti butterò fuori di qui a calci nel culo.” Reimpostando di nuovo la sua voce e riaccomodandosi sulla sua sedia, tolse la pipa dalle mani del dott. Franker e con molta calma riprese il discorso: “Ora vai nella zona West fra la undicesima e la dodicesima c’è stata un mezzogiorno di fuoco e a quanto pare hanno trovato in una pozza di sangue un certo Albatros Karagoriki alias “faccia da tricheco” vai sul posto e cerca di capire cos’è successo”.
Il volto del dott. Franker, con una mano dentro l’altra per trattenere il dolore dell’ustione, passò immediatamente in uno stato di semi incoscienza. Quel nome era scoppiato dentro come un fungo atomico che lo tenne immobilizzato e pallido per un lunghissimo minuto. Karagoriki faccia da tricheco non avrebbe più succhiato orli di camicia.

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martedì 8 febbraio 2011

Infodipendenze


L’orologio sulla mensola scandiva un tempo alieno. I miei occhi seguivano le lancette rassegnati, impossibilitati nel seguire il suo scorrere inesorabile. Mi alzai dal letto poggiando le mani sulle ginocchia ed osservando i miei piedi. Arti dimenticati che portavano il peso del mio corpo distratto, mezzi asserviti che trasportavano il mio animo svogliato. Afferrai la tisana dal comodino, ormai semifredda e portai la tazza alla bocca. Buttai giù un sorso profondo che la mia gola deglutì decisa. Il giornale del giorno prima mi consegnava i volti di uomini costretti al comando. Mi soffermai su quelle facce da impiegati mancati, da improbabili avventori di bar, da affaristi di provincia o potenziali elettricisti, costretti da un destino cinico e baro a conservare un privilegio familiare, a garantire rendite di posizione. Ad assicurare la loro brillante carriera politica. Uomini costretti a comandare. Le lettere del giornale si intrecciavano continue, con i suoni provenienti dal telegiornale, mentre un seguitissimo blog dava il suo autorevole punto di vista sull’ultimo scandalo pubblico. Le notizie mi inseguivano assetate, mi braccavano in ogni momento, persino nel tram fogli gratuiti imponevano la mia attenzione. Era droga pura che riscuoteva il suo tributo di dipendenza: Ma quel giorno decisi che mi sarei preso un pausa. Smettere sarebbe stata una scelta al di là delle mie forze, che giorno dopo giorno assicurava la mia tossicodipendenza alla quotidianità. Domani smetto d’informarmi.
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