«Chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli.»
Luca 6,13
Nei fiumi si nuota come nella vita. Non è la stessa cosa che restare a mollo nel mare. Non si tratta di una vacanza, o di una pausa. Si segue la corrente o vi ci si oppone. Si raccolgono ciottoli e si urtano rocce. Si affrontano le secche e si affoga nelle piene. Non è il mare. È qualcosa di più umano. Di più terreno. Lì, oltre la terraferma invece è un altro universo. Quando ero piccolo una volta litigai con mia madre. Per la rabbia, scappai e mi tuffai in acqua. Provai a gridare. Non ci riuscì. Tossii acqua salata. Fu come se il mare avesse gridato in me. Non sono mai stato un tipo da darsi per vinto facilmente. Ci ho riprovato più volte. Niente nel mare non si può gridare. Eppure quel mare mi ha sempre riscaldato. Mi sento coperto, caldo di placenta. Liquido seminale della Terra. Adoro il sangue. E il mare profuma di sangue. Questo è tutto. Uccidere è peccato – diceva Don Gaetano, ma se uccidi per la patria no. A me della patria non me ne frega niente. Credo solo in Dio e nel sangue. Amo il sangue. E questo è quanto. Non mi interessa del dolore di una morte, non provo pietà per le mie vittime, non ho empatia. Per l’esercito sono il soldato perfetto. Non ho paura della morte. Godo solo nell’assaporare l’odore di sangue nel campo di battaglia. Le guerre moderne hanno abolito ogni umanità se non quella delle vittime e della morte. Non c’è scontro nelle nostre guerre, non c’è nemico da abbattere. È tutta una questione di bombe e di civili, di aerei e contraerei, di radar e di pioggia di piombo. Quelli come me vengono dopo. Chiamate forze di pace. Non me ne fotte un cazzo della pace. Io sono qui per il sangue. E per fortuna, nonostante la tecnologia di guerra, posso ancora sparare, posso ancora vedere morti e posso ancora assaggiare il sangue. I momenti migliori della mia vita gli ho assaporati dopo le tempeste di fuoco. Dopo le battaglie campali, quelle dove si radono a zero le città. Quando la polvere torna a depositarsi sui corpi orizzontali. Ed io senza nessun orgoglio di vincitore, senza nessuna adrenalina, senza il minimo orgasmo di potere, mi aggiro per quel campo silenzioso. Con la stessa pace, che provavo i pomeriggi d’estate in campagna, dopo la pioggia. C’è chi placa i propri tormenti sotto un cielo stellato, o a contatto con la salsedine. Io ho solo il sangue. Fertile, rosso, mischiato alla terra. Cammino nel campo, come una bambina alla ricerca di margherite. Mi stendo, spesso, affianco al terriccio intriso. Lo stringo in un pugno, ne respiro l’odore acre. E mi abbandono al mondo. Vigliacca di un’epoca protetta, coperta. Sensibile ad ogni sapore. Ad ogni sussulto di vita. Rifugge la merda, pulisce lo sperma, deodora le fiche, sviene del sangue. Che uomo è questo mio Dio? Un’animale senz’anima. Plastico. O mio Signore avrei voluto, con la tua grazia, d’esistere ai tempi dell’uomo. In quelli dei cavalieri erranti, no, no mio Dio, non per gloria d'avventure, ma per l’odore del mondo. Per i campi di battaglia ornati di spade, conficcate nelle costole, zampilli di mondo. Di carne, di vita. Di te, nostro Padre. Qui ci restano gli avanzi. Qui, degli eroi d’un tempo, voraci e sanguinari, rimane un posto in manicomio. E gli imperi governati, da saltimbanco e suore nere. Il mare. Il mare. Il mare. Onde e onde. Come in guerra. Senza pensieri e siringhe, senza preservativi e protezioni. Nudi di fronte al mondo, nudi di fronte a Dio. Alla carne che corre, alla carne che punta, alla carne che muore. Giù c’è una città ancora viva. Come quel fiume. Di gente attenta. A seguire la corrente, od a nuotarvici contro. Io non sopporto i fiumi. Quell’andirivieni frenetico e inutile, non fa per me, mio Dio. Non sono mai riuscito ad imparare nessuna poesia. La poesia è trattata da puttana. La poesia dovrebbe essere il suono del mondo. Ed io, beh, io ho dentro solo un suono in momenti come questi. E il naufragar m’è dolce in questo mare.
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