Un giorno ero seduto su una sedia d'ufficio quando guardandomi intorno notai dei quadri raffiguranti la nota "Città ideale"- Anonimo fiorentino. Per un po' mi sono soffermato su quella città ideale ed a ben vedere mi appariva estremamente angosciante. Questo è dovuto ad una ragione evidente. La città ideale è priva di vita. Priva di essere viventi. La città ideale è vuota. Sembra una città fantasma dopo una apocalisse chimico-batterica. E quindi da ciò si evince un ultima conclusione: La città ideale per essere tale deve escludere l'uomo. Deve escludere la vita. Deve escludere il reale. Deve escludere l'errore e l'imperfezione. L'ideale esclude l'imperfezione. L'ideale quindi è per sua stessa natura un'astrazione inesistente e quindi irrealizzabile concretamente. So a cosa state pensando, ma non cadete nel tranello. La trasformazione sociale, politica, economica, non rientra nell'ideale, le idee di cambiamento non rientrano nel campo dell'ideale per quanto spesso ne sono vittime. Analizziamo il perché. Volendo partire dal padre della trasformazione sociale Karl Marx, padre del socialismo scientifico proprio perché rifiuta la visione misitico-idealistica-messianica dei socialisti utopisti che disegnano nella loro mente un mondo perfetto trascendendo dal reale e quindi trascendendo dall'uomo. Marx fa notare come: "Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato [pausa di riflessione], un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi [altra pausa di riflessione con collegamento a quanto detto sin ora]. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente." Io credo che in questa frase sia riassunta l'opinione del filosofo di Treviri riguardo a molte (non tutte) esperienze di presunto socialismo reale. Esperienze dove il socialismo non si è sprigionato meccanicamente come movimento reale, ma al contrario come ideale di un'avanguardia filosofica che disegnava il suo ideale a cui la realtà si sarebbe dovuta conformare. Ed è qui che è spesso il limite di chi crede nel suo mondo ideale, o in mondi ideali costruiti da altri, in terre promesse secolarizzate, piuttosto che l'analisi sociale delle forze in campo. La sconfitta poi delle speranze di cambiamento ha portato alla nuova fase, postmoderna, del nichilismo come accettazione passiva del presente e delle sue espressioni reali. Dell'abbandono di ogni ipotesi cambiamento per la mera gestione del reale, per la sopravvivenza inetta nell'acquario mondiale. Ma tornando a noi, ciò dimostra come l'ideale altro non sia che la sublimazione della voglia di potere dell'uomo, nella sua ricerca di perfezione personale, ed anche ultrapersonale tale per cui ne sarebbe escluso egli stesso in quanto imperfetto dalla perfezione di quel mondo. Una voglia di potere però che non è per ovvie ragioni di per sé negativa, in quanto forza capace di trasformare il mondo, di modificarlo in relazione alle sue esigenze. È solo la forza collettiva di cambiamento, derivante da situazioni reali che permette alla volontà di cambiamento di divenire soggeto attivo di trasformazione. Purché essa si esprima come forza laica e soggetta al reale piuttosto che all'ideale. L'ideale al contrario nella sua espressione pura, ha sempre prodotto l'inferno della tirannide che plasma la realtà alla sua bellezza immaginaria. Cosi fu per l'uomo puro, l'uomo ariano. La perfezione lì raggiunge il massimo nell'utopia più estrema: la pulizia, una pulizia genetica che perfezioni il mondo. Una pulizia ideale e per questo irrealizzabile proprio per la sua contraddizione con la vita che si esprime pura nell'intreccio piuttosto che nell'incesto. Anzi è l'errore stesso il motore dell'evoluzione. In natura come nella vita. Diffidate quindi dei puri idealisti (purché li sappiate riconoscere) essi vogliono solo plasmare il mondo a loro immagine e somiglianza. Escludendosi dal principio.
mercoledì 27 gennaio 2010
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