"Consiglierebbe la carriera di scrittore?" mi chiese uno degli studenti.
"Stai cercando di dire amenità?" gli chiesi.
"No, no parlo seriamente. Consiglierebbe la carriera di scrittore?"
"È lo scrivere che sceglie te e non tu lo scrivere."

Charles Bukowski

mercoledì 2 novembre 2011

Sonnambulismo messianico


Rientrò prima di dormire. O poco dopo, lì sul portone di casa, dove aveva da tempo deciso di sistemare gli ombrelli, il tappeto, il campanello. Che certe notti, certe notti verrebbe d'uscir fuori in ciabatte, anzi meglio a piedi nudi o coi calzini, che è sempre meglio ripararsi un po'. Certe notti dicevo, certe notti verrebbe d'uscir fuori quasi scalzi con l'ombrello, anche senza pioggia, anzi sopratutto senza pioggia, che se piove invece è meglio lasciarlo dentro l'ombrello e abbracciarsi la pioggia. Così dicevo certe notti, certe notti senza pioggia, verrebbe d'uscir fuori quasi scalzi con l'ombrello e scendere le scale, anzi meglio, rotolarci giù per le scale, con l'ombrello aperto. Cosicché, come dicevo, certe notti, certe notti senza pioggia, verrebbe d'uscir fuori quasi scalzi con l'ombrello aperto e rotolare giù per le scale e poi magari aprire il portone, anzi no meglio, rimanerci prima delle ore dietro a quel portone e guardarci attraverso se è possibile, che se ci guardi attraverso ai portoni o in generale ai vetri e fuori c'è il mondo, allora è, allora è, allora è come vedere un film, come riparato, come se ci puoi pensare un attimo, puoi dire magari torno su, oppure resti davanti alla porta a guardarci attraverso, ti pisci addosso se vuoi, magari sì, potendo uno si piscerebbe addosso, lì davanti al portone mentre ci guarda attraverso e pure se non ci guardi attraverso, pure se il portone è di legno o di ferro o di marmo o comunque senza vetri, uno ci rimane, dico ci rimarrebbe lì ad aspettare e pure a pisciarsi addosso. Dicevo quindi che certe notti,  certe notti senza pioggia, verrebbe d'uscir fuori quasi scalzi con l'ombrello aperto e rotolare giù per le scale e rimanere ore davanti al portone, a pisciarsi addosso potendo, per poi aprirlo quel portone e mettersi in mezzo alla strada con il freddo leggero a dare ossigeno e i pensieri a sputare nel silenzio. Allora dico, solo allora, potresti anche morire, abbracciare un uomo, uno qualsiasi, uno sconosciuto, o il vecchio della porta accanto, quello del primo piano che non ti è mai andato a genio, allora potresti anche correre fino all'altro lato del paese e fermarti quando il fiato non ti dà tregua, per poi guardarti la punta dei piedi, alzare lo sguardo al cielo e ridere a crepapelle, provare poi a volarci con quell'ombrello e dire a tutti che il mondo sta per finire e i giochi sono fatti, e c'è da esser matti a restar lì impassibili e sani mentre il mondo sta per finire, anzi no, dire che il mondo è già finito e siamo qui da secoli ad aspettare un tram che ci porti via da questo casino, prima dei netturbini. Hanno detto alla televisione che  i ferrotranvieri sono in sciopero, altri dicono che sono morti anche loro e certe sere, che uno starebbe lì lì per uscire fuori, e far chissà cosa, finisce che gli sorge il dubbio che tutto è già finito, mentre si rimane ad aspettare un epilogo che non verrà e allora tutti quei pensieri e quelle strane voglie le lascia cadere giù dalle scale, che va a finire che ti prendono per pazzo, per la solita fine del mondo. Solo a quel punto, quando t'accorgi del vicino che ti osserva lì titubante in piena notte, con la porta aperta, quasi scalzo e la mano vicino agli ombrelli, trovi la prima scusa che ti capita, provi con la storia del sonnambulismo, che forse a quella ci credono. Per spiegare quel paradosso della fine del mondo, tanto vale affidarsi al sonnambulismo.
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