"Consiglierebbe la carriera di scrittore?" mi chiese uno degli studenti.
"Stai cercando di dire amenità?" gli chiesi.
"No, no parlo seriamente. Consiglierebbe la carriera di scrittore?"
"È lo scrivere che sceglie te e non tu lo scrivere."

Charles Bukowski

domenica 13 novembre 2011

Lettera d'addio (ai nemici ed alla patria)


Non l'aspettavi questa lettera, certo non ora. Nenach'io a dire il vero. Eppure mi ritrovo debitore. Sono io, colui che ti insegue dall'inizio ed ancor prima. Quando ti dichiarai guerra e ti elessi a mio nemico. Sai già chi sono, conosci i miei nomi e i miei spostamenti. Quasi vent'anni di inseguimenti ed eccomi ora, incredibilmente superstite, davanti al tuo capezzale, ma non sono più vivo di te, non provo gioia né riscatto, perchè conservo ancora qualcosa di raro, qualcosa forse anche a te sconosciuto, anzi sopratutto a te, che hai plasmato e torturato a tal punto questa terra da aver corrotto anche i tuoi nemici, si chiama onore. Avrei dovuto conficcarlo io quel pugnale, io che ti inseguo dalla notte dei tuoi tempi. Avrei dovuto strigerlo io quel cappio al collo, io che ho sognato il tuo cadavere ogni notte per vent'anni. Avrei dovuto metterti io alla barra, giudicarti, condannarti e giustiziarti, per ogni ferita inflitta a me ed al mio popolo cieco. Mi hanno chiamato Sciopero e nei momenti migliori fatto addirittura Generale, per buttarti giu dal tuo trono incensato. Li ricordo i primi tempi, li ricordi anche tu, non era come oggi, solo e tradito nelle tue stesse fila. Allora che godevi del potere dei condottieri fra le tue truppe, salvatore ti chiamavano. Anche tu fosti àncora per i naufraghi d'altre guerre, traditi anche loro e mai giustiziati dai loro nemici. Ero a Napoli quando per la prima volta ti ferirono alle spalle, ma anche quella volta non ero io, non fu la mia lama a colpirti. Ed anche se ho sempre voluto giustizia non era quella imbiancata delle toghe che cercavo, ma la mia, sempre la stessa, da sempre. Ero ancora in clandestinità, allerta con le mie legioni, sapendoti vorace. Ci ritrovammo ed avevo un altro nome, un altro il campo di battaglia. Mi hanno sopranomminato Carlo dopo. Ero un altro mondo. Non avesti il tempo di stringere lo scettro. A viso aperto ci rincontrammo a Genova. Non avesti pietà di me, alcuna. Non potevi e non la cercavo. Perì ancora. Mentre assoggettavi ogni centimetro di mente, ti ho odiato ancora di più. Ma non ero morto. Ero ferito, pericoloso, come ogni animale ferito. La ricordi ancora, quella lama nel tuo costato. “Dimmi il tuo nome!” mi chiedesti, e non potevo che risponderti “18”. Dopo ci siamo ritrovati mille volte, ma lontani. Cesare premuroso, accollato nel tuo mantello preferivi i mercenari da mandare al macello. Mi hai chiamato Pace, quando bombardavi per il mondo, black bloc, quando ti servivo crudele, San Precario se beato, No tav in Valsusa, No ponte giù in Sicilia, e poi sempre più sfuggevole in ogni angolo mi sono celato, dentro ogni foresta, le mie imboscate si facevano sfuggenti e repentinee, a Vicenza, tra i rigassificatori e inceneritori, cementificazioni, deforestazioni, condoni, e poi a Termini Imerese, Pomigliano e Mirafiori, io c'ero, io ero lì. Eccoci qui ora, alla fine di questa corsa, che non è solo tua ma d'entrambi. Siamo sconfitti, così tanto ci siamo rincorsi. Non era questa la fine che desideravamo, nessuno dei due. Ma questo popolo è il tuo, Cesare, tue sono le menti, tue le ossessioni e perversioni, tuoi i risentimenti, le passioni e compulsioni, e se questa è la tua fine tu l'hai cercata. Per conto mio ho perso ancora, e morendo così mi pugnali di nuovo, con la più definitiva e mortale delle ferite. Ma Cesare, so bene che neanche tu potresti tanto, e tu stesso insieme al tuo popolo eletto, anche quello che ti manda al rogo, non sei che il risultato dei millenni di questa terra, di questo popolo infame e miserabile, eternamente pecora e ingrato, servile e canaglia, chino e traditore. Molto prima d'essere nazione era ancora risentimento, tanto da render possibile l'inaudito per il proprio particulare, da invocare il re straniero, per far fuori il proprio principe, perchè non siam popolo, perchè siamo divisi. Adesso tocca a te Cesare, donare il sangue alle tue serpi, attillate in doppio petto in attesa di Carlo V. Scende il re spagnolo, muore il vecchio tiranno, e di me chi ti ho inseguto sino all'ultima delle tue ore, non resta che morire insieme a te. Mentre le strade incoronano il nuovo cavaliere.

Tuo maledetto
                                                                                                                                                  Q

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