"Consiglierebbe la carriera di scrittore?" mi chiese uno degli studenti.
"Stai cercando di dire amenità?" gli chiesi.
"No, no parlo seriamente. Consiglierebbe la carriera di scrittore?"
"È lo scrivere che sceglie te e non tu lo scrivere."

Charles Bukowski

venerdì 9 marzo 2012

Scansioni vitali


Non ricordo neanche come, da un giorno all'altro, mi ritrovai a scansionare faldoni di documenti. 
Ero rinchiuso in fondo, nel gabbiotto pausa caffè-fotocopie-sigarette. Ero spietatamente ligio nella ricerca dell'alienazione macchinosa da lavoro. Diventare automa, privarsi di intoppi, di intralci, rimodulare gli errori di sistema. Qualche sorrisino, occhi bassi, voce cauta, nessuna confidenza. Ho una mia idea riguardo al lavoro, o meglio un istinto naturale: il lavoro è svendere il proprio corpo e il proprio tempo, che lo prenda pure allora, ma avrà solo quello, niente confidenze niente sentimentalismi. Non sopporto quei rapporti in cattività.
In quella stanza era un via vai continuo che non avrebbe distratto il mio Stachanov implacabile. Lo dicevo sempre a chi potevo, fuori di lì - mai scegliere un lavoro che ti piace, finisce per penetrarti dentro e spolparti vivo, toglierti l'anima e farti ritrovare nudo - no, avranno il mio corpo, ma non la mia anima.
Gli odori si susseguivano frenetici, creme per il viso, calendule e cenere schiacciata, dopobarba, deodoranti acidi, maglioni acrilici sudati e subordinati, freddo e posacenere, chiacchiere femminili intrise di nicotina. Gobbe da scrivania, culi insormontabili e abnormi che certificavano le anzianità. Erano piante che inseguendo il sole finivano per contorcersi ovunque. Ma la luce era il lavoro, lo stesso a cui hanno svenduto il corpo, poi il tempo, poi una volta tornati a casa, una volta seppelliti nel letto, una volta rialzati alla mattina,una volta uccisa definitivamente l'anima, svendevano anche quel cadavere. Tosse automatica a gettoni.

Mentre il lavoro imbarbariva tutti, rendendo sopportabile il morire di attese.
Mentre le domeniche erano santificate alla pausa pranzo.
Ad un tempo terminato per poterlo cibare.
Ad una alienazione che ha bisogno di pause per potersi celebrare.
Di una cadenza, di una danza, di un'adunanza senza distanza.
Il tempo incalza, ruba gli attimi. Tempo in corsa sui premi produzione.
Una sveglia al mattino, timbro di vita, obliterata all'alba.

Bisognerebbe davvero essere immortali.
Per sprecare la propria vita, continuamente.

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