«In un impeto di ribellione per tanta imbecillità
in quei giorni
anche il busto di Lenin
cominciò a lacrimare»
Offlaga Disco Pax - Piccola Pietroburgo
La pipa di Pertini sbuffa furiosa, mentre cammina nel vialetto della sua trincea. Il suo passo nervoso e veloce, a dispetto della sua statura, lo rendono al tempo stesso simpatico e autorevole, un vecchio partigiano severo e incredibilmente dolce. Il miglior presidente, disse qualcuno, sicuramente il più romantico. Sandro ricorda i tempi lontani della sua gioventù ardimentosa. La fuga in Francia, il ritorno, la condanna. Ha ancora gli occhi lucidi al pensiero di quel suo grido nel tribunale fascista che lo condannava «
Abbasso il fascismo! Viva il socialismo!». I tormenti della madre, che ne chiese la grazia e il suo commovente strazio, di fronte a quella sofferenza universale. Il ricordo tenero dell’abbraccio materno lo porta verso gli ultimi passi della sua trincea, piccolissima trincea di paese, per un grande piccolo uomo, come lui. Di fronte, scorge una figura di spalle, china su un piano mentre esegue un notturno. Pertini gli s’avvicina silenzioso, rimane muto, assaporando quello note dolci accarezzare il fumo della sua Pipa. Terminato di suonare, i due sguardi si incrociano, e Sandro con la sua voce calda e commossa chiede «
Immagino che lei sia Chopin, il compositore». L’altro lo guarda sorridente e aggiunge «
Sì in persona, lei dev’essere Pertini. Non l’ho mai conosciuta dal vivo, ma mi hanno parlato molto di lei». Pertini accomodandosi al suo fianco ribatte incuriosito «
davvero?» - «
Certo» prosegue l’altro «
mi hanno detto che lei è un romantico moderno, di un secolo nuovo che noi non abbiamo conosciuto. Certo poi è strano che l’abbiano messa qui, insieme a tanti musicisti, non lo trova un po’ bizzarro? Non si sente fuori posto?». Sandro guarda verso l’orizzonte. Girandosi d’un lato, scorge fra gli alberi un altro sognatore, anch’egli con lo sguardo all’orizzonte: Colombo, navigatore e scopritore, a circoscrivere un quartiere dedicato a dei sognatori musicali. «
Al contrario, le dirò, non potevano che farmi regalo migliore, per la mia eternità che lasciarmi qui, nella pace della musica, dei compositori, della più leggiadra delle arti. Che soave riposo mi sarebbe concesso. Ma neanche qui m’è risparmiata la sofferenza, neanche qui la pace, tantomeno ora, posso dirmi libero dai tormenti e tribolazioni della mia vita, donata alla libertà». Chopin lo osserva preoccupato e sussurra «
sarà mica colpa di quello lì? L’altro nuovo? Quel gran parco che hanno piazzato oltre la sua trincea?» Pertini ricambia con due occhi di fuoco, spiegando tutto con quelli, aggiungendo, dalla sua bocca solo una parola «
Certo!». Chopin, sapendo di non poter nulla, contro quella tragedia fuori dal suo tempo, torna con un leggero inchino della testa al piano, potendo regalare solo quella pace. Pertini si girà e continua il suo andare, questa volta verso la direzione opposta. Si ritrova ancora più agguerrito di prima. Tremendamente infuriato. Un fuoco che si sparge per una via, la sua, piuttosto piccola. Come dimenticare allora il volto del caro compagno Antonio, per poco tempo compagno anche di prigionia, in quella vicina Turi. La lotta partigiana, su per i monti, l’odio insopprimibile per le carogne fasciste, disprezzatori della libertà, vili, codardi, venduti allo straniero. Dover salvare la patria, il popolo italiano, da quella feccia. Poi il meraviglioso 25 Aprile, la liberazione, l’urlo nella radio a Milano, urlo di gioia e ribellione «
Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire». I suoi ricordi pieni di ardore finiscono fra altrettante note furiose. Sandro le riconosce subito. “La Cavalcata delle Valchirie”. Wagner anch’egli di spalle dirige la sua orchestra sprigionando tutte le forze, i tormenti, le angosce e il dramma di un’esistenza. Pertini non vuole fermarlo, interromperlo, né interrogarlo. Rimane in silenzio nella sua trincea ad ascoltarlo. Dall’altra parte della trincea, ancora il nemico, ancora e sempre uguale a quel che combattemmo sui nostri monti in Spagna. Uguale è la canzone che abbiamo da cantare: Scarpe rotte eppur bisogna andare!
Qualche strano e discutibile amministratore pubblico aveva deciso di sotterrarlo lì Pertini. Come fosse una salma inutile, o ancor peggio utile. Utile per poter accontentare e placare quanti nutrirono il disprezzo per un parco, un gran bel parco, dedicato a quella canaglia di Almirante. Per un utile scambio bipartisan, in una zona piena zeppa di musicisti, barricato dietro quel parco, c’è lui: il grande partigiano Pertini! Che disgustato rimane in trincea a combattere il nemico fascista di sempre.
Almirante: firmatario ed estremo difensore del Manifesto della Razza, arruolato tra le fila della Repubblica fascista di Salò. Nel 1944 firmò un manifesto in cui si decretava la fucilazione dei partigiani “sbandati”. Fondatore e segretario del partito neofascista MSI nel dopoguerra. Lo stesso Almirante accusato di apologia del fascismo nel ’47. Rappresentante di quel movimento che per tutta la sua esistenza è stato contiguo con gli ambienti dell’eversione nera e della P2, nei dichiarati intenti di attacco agli organi costituzionali dello Stato, e dalle cui sezioni sono usciti gli assassini di Benedetto Petrone.
Compagno partigiano Pertini. Resisti! Dietro le trincee della tua piccola via. La lotta contro il fascismo non è ancora finita. Questa battaglia tutta toponomastica, ti vede degno rappresentante della Repubblica, della libertà, e della democrazia. Forza Sandro!
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