Tutto è iniziato per caso. Come la vita impone, il vento, le burrasche e sopratutto i silenzi, che si susseguono sempre, fino a poter convivere.
Tutto è iniziato un anno fa, qualcosa di più a dire il vero.
Ho aperto un profilo su Tumblr, che in realtà conoscevo solo dal di fuori. L'esigenza intestina era quella di esprimermi nella maggior contrazione possibile. Poter danzare coi suoni delle parole, che valgono più di cento significati. Poter asciugare, concentrare, succhiare, liofilizzare i fiumi in pochi suoni.
L'ho chiamato Postribulo. Anche questo battesimo è avvenuto per caso. Credo che il caso, quello vero, quello che non ha nulla a che vedere con una sorta di destinazione o predestinazione, ma che sussurra senza la pesantezza dei discorsi e delle intenzioni che finiscono per dimenticare tutto e lasciarsi trapassare dalle parole, solo quel caso può diventare vento e trovare un senso continuamente.
In quei giorni, un illustre uomo politico italiano, chiamò ad una seguita trasmissione televisiva, apostrofandola come un "incredibile postribulo televisivo".
Quella parola, così desueta e al tempo stesso ripetuta più e più volte dai mezzi di informazione, ha finito per liberarsi dal peso del suo significato, ed ha conservato solo il suo suono, molto più casto e pungente.
Il senso poi, come sempre, insegue il suono, dopo il caso. Col tempo è tornata viva quella parola, molto più di prima - La vita è un postribulo, le parole possono esserlo e Tumblr sicuramente lo è -
Il mio ritmo si è ritrovato a sopraffare il mezzo, che per quel ritmo è stato comunque meraviglioso. Libero dal reblog compulsivo, dal caos istantaneo, dal ricorrersi incessante di una dashboard. Tutto ancora per caso fu scalfito dall'inizio.
Un post al giorno.
Brevi composizioni di suoni.
In ossequio all'irrappresentabile.
Una metrica essenziale.
Scarno come un fiume.
Travolgente come un deserto.
È tutto lì, il testamento di Postribulo.
Giornalmente lasciare segni. Che i giorni non sono mai uguali a sé stessi. Le ispirazioni non si lascino adorare, anche la noia e la stanchezza, il vuoto e l'inutilità hanno il loro da dire o da non dire.
Contare le parole, contare i segni, contare i giorni, contare i passi, contarsi e contrarsi. Uno, due, tre, quattro, cinque, centodue, centodiciotto, duecentosessantanove, trecentoquindici. Trecentosessantacinque.
Non abbiate fede.
Che i numeri durino in eterno.
Nonostante siano infiniti.
Sono fatti per contare.
Arginare finire e colonizzare.
Ogni cosa.
Non può essere eterno un esperimento, non si può contare all'infinito, non può un giorno, vivere oltre l'anno. Non si può che finire a 365, ogni quattr'anni una piccola eccezione, niente più.
Si muore per poter resuscitare e dirsi, in qualche modo. Dirsi e dondolarsi dei sottofondi.
Si assumono nuove maschere, che non sono mai maschere ma parzialità su cui ci si adagia.
Si indossano cappelli per vanto o per nostalgia, baffi a protezione di ogni discorso.
Re suscito alla ricerca di un corpo.
Di un Baffo ed un Cappello.
(E ringrazio il mio pubblico che è stato parte dell'esperimento, la mia segreta assaggiatrice di bozze. Ringrazio i pornografi, le quindicenni ribelli, le casalinghe frustate (sic), le amanti del sadomaso, i feticisti delle merci, i fotofelinici, gli ermetici boccacceschi e le casse armoniche da giardino; chi mi ha seguito con trasporto e chi è venuto a piedi, chi mi ha scovato, mi ha perso, ritrovato e poi abbandonato. Chi ha trovato musica in ogni parola, e per questo non posso che commuovermi.)
"Il senso poi, come sempre, insegue il suono, dopo il caso."
RispondiElimina...auguri!
BELLO QUI
RispondiEliminagrazie simonetta, benvenuta!
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