Difendila la noia. Ti salverà sempre davanti ai tribunali in maschera. D’estate fra agli ormoni danzanti, d’inverno in mezzo alle apocalissi, tu ricorda di difenderla la noia. In mezzo ai soldati, fra le lance dei giustizieri, fra gli agguati dei ladri, nel bel mezzo di un’elezione comunale, difendi la tua noia, è sacra. Quando ti chiederanno dove hai dimenticato l’anima, a chi ti chiederà conto del tuo pane quotidiano, delle preghiere al mattino, del tuo umore diffidente, difendila la noia, è àncora nelle burrasche. Presto suoneranno il campanello e ti chiederanno d’esser loro, o dei loro, poco cambia, hanno l’anima leggera o defunta sotto i piedi delle paure, difendila la noia, o quell’inquietudine di sconfitta, salvala dal mercato delle indulgenze, dai vuoti di memoria, dai libri già scritti e cancellati, salva tutti i tuoi ricordi dalla mattanza futurista, si abita il passato nelle cineteche, il presente nell’eterno morire, il futuro nello scippo. Difendila sempre la noia, donale una carezza, è tua.
Crederesti d’aver visto piangere un gesto innocente, il limite del proprio scrivere, sta nel non saperlo fare. Provare per un tempo incerto, quanto un non pensarci che può durare anni e un minuto, il dono profetico d’esser scritto, di lasciare alla tastiera il compito di pigiare i tuoi polpastrelli. Gli occhi guidano la danza, osservano sequenze di movimenti. C’è qualcuno oltre la corteccia a dettare il dettame dirompente. Siamo parlati e allora capiamo di essere solo trapassati, dalle parole dette, in dormiveglia, prima di arrossire. Calpestare l’erba del vicino, immobilizzare il conto con tutti i passi frenati dalla lingua. Lingua dettata, anch'essa, lingua biforcuta, già detto. Lingua che è reduce dalla paura. Sei ancora lì a pensare di poter scrivere il tuo nome fra le mani di chi non ha più. Ora appena con un gesto, distogli lo sguardo.
Ed anche se potessi scriverla, quell'inadeguatezza a scrivere, quel dover buttar fuori, ciò che solo dentro è custodito come uno scrigno ingiallito dal vento. Le battaglie coi miei mostri, solo il mio ombelico può ascoltarle, nel flusso dell’intestino, nella danza cardiaca. A te, ai tuoi occhi cui toccherà leggere queste parole, posso solo tirar fuori batuffoli.
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